Abbazia di San Gervasio di Bulgaria

Via Pergolese
61037 Mondolfo

San Gervasio di Bulgaria: Alle origini del cristianesimo nella valcesano

Parlare della Chiesa di San Gervasio a Mondolfo, significa andare alle origini del cristianesimo nella bassa Valle del Cesano. Quale era il luogo in cui i primi cristiani del nostro territorio erano soliti riunirsi per partecipare alla Cena del Signore e pregare insieme? Assai probabilmente era proprio San Gervasio, edificio ricavato sopra una preesistente costruzione di epoca romana, forse un tempio pagano; ci troveremmo, insomma, innanzi ad una chiesa paleocristiana, rinnovata più tardi nelle forme attuali. Certo è, infatti, che il sarcofago ravennate conservato nella cripta della chiesa mondolfese, da annoverarsi fra gli esemplari di migliore qualità di quel celebre opificio, va datato ai primi anni del VI secolo. Ora, potendo affermare con certezza che già nel IV secolo a Senigallia fosse diffuso il cristianesimo, e che il suo primo Vescovo storico – Venanzio – è attestato per l’anno 502-503, vediamo chiaramente quanto breve lasso di tempo (oltretutto pensando che nelle campagne la Buona Novella giunse più tardi) intercorse fra l’arrivo dell’Evangelo nella Valle del Cesano e la manifestazione pubblica della fede attraverso la realizzazione di un sarcofago monumentale. Questo manufatto – che tradizione vuole conservare il corpo di San Gervasio – esprime nelle sue raffigurazioni la fede di quei primi cristiani. Vi troviamo infatti incisa la Croce senza il Cristo: è il segno che l’umanità raggiunge la salvezza attraverso la morte e la passione del Signore, preludio alla Vita nuova. Ed infatti, simbolicamente, nel sarcofago si parla soprattutto della Risurrezione: l’attestano i pavoni, il labaro costantiniano, l’edera, tutti segni incisi sul manufatto. Rifacendosi alla credenza giusta la quale il pavone ogni anno in autunno perde le penne che rinascono in primavera e che la sua carne non si putrefae, nel cristianesimo l’animale è il simbolo della rinascita spirituale e quindi della risurrezione. Anche il labaro costantiniano, la corona d’alloro circuente il Chrismon, cioè la sigla monogrammatica (XP) del nome di Cristo è evidente segno di vittoria, (Costantino che vinse Massenzio a Ponte Milvio) in questo caso la sconfitta della morte, come emblema della immortalità dell’anima sono pure le due foglie di edera – poiché sempreverdi – poste al termine del nastro che prende avvio dalla “laurea” gemmata. Foglie d’edera che, a ben vedere, possono alludere pure alla croce e passione di Cristo, poiché pianta dalle radici piuttosto robuste e difficile da sradicare senza penosi tormenti.
Ora, se è vero che “nessuno è immortale” come è scritto in greco nella lastra quadrangolare di alabastro, posta rovesciata sulla sommità della colonna centrale della cripta di San Gervasio, è altrettanto vero che con il sacramento del Battesimo ogni cristiano è chiamato alla vita eterna: ecco dunque il Fonte battesimale di San Gervasio, porta dell’immortalità del credente. Databile attorno al XII secolo (ma c’è pure chi lo riconduce al sec. VII-VIII), qui nacquero alla fede gli antichi abitanti della Valcesano. Ora conservato nella Residenza municipale di Mondolfo, il fonte parla un linguaggio altamente simbolico. Al centro del catino, sul fondo, vi è raffigurato in rilievo un cervo che si sta abbeverando alla fonte. E’ la raffigurazione dell’immagine biblica di Salmo 42, Come la cerva anela all’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio, soggetto scelto spesso proprio nei battisteri, quale simbolo delle anime che ricorrono a Cristo, fonte della vita. Seppur lacunosa, anche la frase scolpita lungo il bordo superiore del fonte battesimale sembra alludere al Sacramento del Battesimo. All’esterno, vi è un ornato a motivo vegetale, forse un vaso da cui fuoriesce un fiore con semplici steli conclusi da foglioline, allusione alla caducità della natura umana e Speranza nella vita beata futura, oppure richiamo all’albero della vita, segno di perpetua rigenerazione e della vittoria sulla morte; non va nemmeno taciuto il legame fra Albero della vita ed Albero della croce. Di grande impatto, poi, ai quattro angoli del fonte battesimale la presenza di quattro “teste”, delle protome. Tutt’oggi il loro significato è diversamente attribuito: se va forse scartata l’ipotesi dei quattro Evangelisti (sembrando un volto femminile), restano aperte le interpretazioni di chi vi legge i quattro fiumi del Paradiso, o – ancora – una raffigurazione dei fondatori del monastero di San Gervasio, cioè dei personaggi notabili del nascente Comune di Mondolfo, che vollero essere scolpiti in questo importante manufatto. Altre due ipotesi richiedono comunque la nostra attenzione, poiché c’è chi interpreta le protome come la raffigurazione sintetica della scoperta del sepolcro vuoto del Cristo, segno della sua Risurrezione: un volto sarebbe quello di una delle tre Marie, uno quello del venditore di spezie, uno quello del soldato a guardia della tomba di Gesù (o un angelo annunciante) ed il leone, appunto, il Cristo risorto, in base alla credenza tutta medievale che i cuccioli del leone, partoriti morti, venivano alla vita dopo che il padre – trascorsi tre giorni – avesse soffiato sul loro muso. Infine altri – vedendovi la scena di Daniele nella fossa dei leoni, scena che prefigurerebbe la salvezza data dal Cristo con la Resurrezione – vorrebbero che la figura barbuta rappresenti il profeta Abacuc, il giovane sbarbato lo stesso Daniele affiancato dal leone, e la donna velata Susanna (che fu salvata proprio da Daniele mentre stavano per lapidarla).

Alessandro Berluti
(tratto da Incontro, n. 3/2006)

Archeologia a San Gervasio

La chiesa di San Gervasio di Bulgaria è sempre stata al centro dell’interesse di molti studiosi per vari motivi: la presunta antichità e la supposta preesistenza di un tempio pagano, la presenza nell’area di materiali archeologici dell’età del ferro e di età romana (fra cui blocchi, colonne e capitelli reimpiegati nella chiesa o conservati nelle vicinanze), la presenza all’interno da tempo immemorabile di un sarcofago paleocristiano ravennate (oltre che di frammenti scultorei altomedievali), l’ipotesi di identificazione con la statio di ad Pirum Filumeni (stazione di posta “presso il pero di Filomeno”) nota dai documenti antichi, le particolarità della denominazione date dal legame con Milano per l’intitolazione ad un martire pre-ambrosiano (Gervasio) e la localizzazione (Bulgaria) di origine e significato controversi. In realtà, nonostante fossero stati proposti in diverse occasioni progetti di indagine interdisciplinare, gli studi si sono a lungo limitati alle ricerche storiche e all’esame architettonico del monumento nella sua attuale configurazione. Solo nell’ambito delle opere di restauro susseguenti al terremoto del 1997 è stato possibile eseguire per la prima volta dei saggi di scavo archeologico sotto la direzione di chi scrive.
Tali scavi, realizzati fra il 2003 e il 2004, hanno interessato l’interno della chiesa ed il suo perimetro esterno. Nell’inverno 2005-2006 la Soprintendenza per i Beni Archeologici ha proseguito in proprio le indagini all’esterno della chiesa. Tutti gli scavi sono stati eseguiti dalla Cooperativa Archeologia di Firenze (archeologo responsabile dott.ssa Francesca Taccaliti).
E’ stato così possibile tentare di ricostruire le fasi edilizie presenti sul sito.
Ad età romana vanno riferiti tre muri (con la testata di altri ad esso ammorsati, probabilmente con funzione di contrafforte) sotto la facciata e le pareti laterali della chiesa (all’esterno), un manufatto in malta cementizia che occupa la parte mediana della navata centrale e che è tagliato da un passaggio (poi voltato) percorribile al di sotto del pavimento della navata stessa, nonché altri resti murari isolati. Ad età tardoantica sembra attribuibile il primo riutilizzo di queste strutture mediante murature a spina di pesce. Secondo alcuni studiosi le absidi poligonali, di ispirazione ravennate, risalirebbero al VI sec. e costituirebbero il nucleo originario della fondazione cristiana.
Al pieno Medio Evo risale la costruzione della chiesa attuale, a tre navate e con presbiterio rialzato sulla cripta. Ad epoche di poco successive vanno attribuiti l’inserimento delle sepolture e alcuni rifacimenti che hanno comportato l’innalzamento dei piani pavimentali.
All’età moderna e contemporanea risalgono altri interventi, che hanno fra l’altro ridotto lo spazio dedicato al culto alla sola navata centrale, mentre quelle laterali (isolate) sono state suddivise in spazi più piccoli sia in orizzontale che in verticale.
Resta poi di difficile interpretazione il corpo quadrato centrale leggibile in pianta per il maggiore spessore delle mura e riconoscibile tuttora nelle pareti esterne ed interne della navata centrale: esso comunque usa come fondazioni la piattaforma romana e i muri in opera spicata.
Un saggio dietro le absidi ha raggiunto uno strato archeologico contenente reperti di età romana, nel quale sono state scavate delle tombe a fossa, evidentemente di età tardoromana.
A destra della chiesa, di fronte all’ingresso laterale, gli scavi hanno rivelato i resti di un ambiente quadrangolare di età romana; su di esso si è impostata un’area cimiteriale utilizzata per lungo tempo.
Alcune sepolture sono state tagliate dall’impostazione di muri in mattoni, spessi 50-60 cm, relativi agli edifici monastici, in cui sembra di leggere una sala principale, con pilastro centrale a sostegno della copertura) fra due ambienti laterali. Questi ultimi hanno almeno una parete scandita da lesene.
La scarsità di reperti mobili (ceramica, vetri, monete, ecc.) di età romana porta ad escludere la presenza in antico di un insediamento stabile di tipo abitativo (villa rustica) o funzionale alla rete viaria (statio). E’ preferibile pensare ad un uso funerario dell’area, al quale va ascritto anche il basamento in opera cementizia, del resto già interpretato da molti come resto di un monumento sepolcrale.
Bisogna però osservare che tale basamento (esteso per m 10×5 circa) ha un orientamento ruotato rispetto all’asse della chiesa, ma coincidente con la facciata della chiesa stessa (ed al muro ad essa preesistente), con il passaggio che lo attraversa, con il corpo quadrato al centro della navata principale e con la parete rettilinea della cripta; le absidi e la cripta hanno invece l’asse delle navate medievali. Stranamente sembrano avere questo stesso orientamento anche i muri romani che fanno da fondazione alle pareti della chiesa, sicché pare che il blocco in malta cementizia sia stato racchiuso in un edificio dal perimetro asimmetrico.
E’ in questa situazione comunque che vanno ricercati i momenti iniziali del luogo di culto cristiano, probabilmente con una funzione funeraria e martiriale, fasi che hanno tenuto conto di costruzioni precedenti forse a noi ancora sconosciute.
Il sarcofago nella cripta, databile fra il 500 e il 525 d.C., è di tipo ravennate ma realizzato in marmo greco del Proconneso: i due pavoni ed il ripetersi del motivo della croce o del monogramma cristologico costantiniano rappresentano simbolicamente l’esaltazione di Cristo come imperatore vittorioso (corona d’alloro) nel giardino del Paradiso (pavoni).

Maria Cecilia Profumo, Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche
(tratto da Incontro, n. 3/2006)

SAN GERVASIO DI BULGARIA
Note sulla storia della chiesa e del monastero

Un legame particolare ha unito la chiesa di  S. Gervasio di Bulgaria al contesto  territoriale: essa è l’unica chiesa il cui titolo ha un chiaro riferimento alla Bulgaria, denominazione  risalente all’alto medioevo e all’insediamento di popolazioni barbariche in questo tratto del basso Cesano caratterizzato dalla presenza di siti umani sin da epoca preistorica.
S. Gervasio è un “segno” straordinario nella storia del territorio e delle popolazioni che vi hanno abitato, un segno che si dovrebbe rendere il più possibile leggibile. I lavori edilizi, nonché gli scavi all’interno dell’edificio, da poco conclusi avrebbero dovuto rappresentare un’occasione imperdibile per effettuare una serie di verifiche sulle questioni poste da tempo: la fondazione dell’edificio, le precedenti e le successive fasi costruttive, la natura e la destinazione delle singole strutture. Purtroppo questa possibilità non è stata sfruttata; sono così rimasti irrisolti quei problemi di interpretazione storica, per cui disponiamo solo di indizi per tentare di ricostruire le fasi più antiche della storia del sito.
La dedicazione paleocristiana al martire milanese Gervasio, fratello di Protasio, il cui culto era stato diffuso da s. Ambrogio a partire dal 386, farebbe risalire il luogo di culto alle prime fasi della cristianizzazione della valle del Cesano. Anche il sarcofago di stile ravennate degli inizi del VI secolo è un indizio circa l’esistenza di un’area cimiteriale nello stesso sito. Altri indizi farebbero pensare che nel corso del VI secolo sia accaduto qualcosa di importante nella trasformazione o riutilizzo di strutture di età romana nella prospettiva di fondazione di un edificio chiesastico.
Altra questione da chiarire riguarda il monastero di S. Gervasio, il periodo di fondazione e la sua natura istituzionale. Nel secolo XII risulta presente nella chiesa una piccola comunità monastica retta da un priore. Il più antico documento risale al 1109, quando ne era priore Atto, che stipula un contratto di rinnovazione enfiteutica insieme con due presbiteri monaci. Dunque la chiesa era un priorato, dipendente nel 1154 dall’abbazia di S. Gaudenzio di Senigallia. Altri contratti del 1161, 1185 e 1194 riportano i nomi di altri tre priori, tre monaci e due conversi.
E’ molto probabile che all’inizio di questo secolo il monastero esistesse già da qualche tempo e che la sua unione con S. Gaudenzio sia stata decretata per ovviare a un processo di decadenza dell’istituzione. Sebbene il numero dei monaci e conversi appaia consono con un priorato, le dimensioni raggiunte allora dalla chiesa farebbero supporre l’esistenza di un cenobio in cui dimorava una comunità più numerosa. Non si può escludere, pertanto, che in precedenza il monastero sia stato un’abbazia indipendente, dotata di un proprio patrimonio fondiario, la cui fondazione potrebbe ricollegarsi a una serie di frammenti scultorei rinvenuti nell’edificio e databili fra l’VIII e il IX secolo.
Nel 1221 il priore Matteo concluse una permuta di terre con l’eremo di Fonte Avellana, compiuta col consenso dell’abate di S. Gaudenzio. La presenza di un priore è documentata almeno fino al 1264, mentre dagli anni 70 dello stesso secolo S. Gaudenzio prese a gestire direttamente le terre di S. Gervasio. Verso la fine del Duecento questa abbazia si unì con quella di S. Maria di Sitria; quindi anche S. Gervasio entrò a far parte di una più ampia rete monastica. Nel 1345-46 pare esservi stato un solo monaco di Sitria con funzioni di rettore.
Un privilegio di papa Onorio III del 1223, volto a definire la giurisdizione del vescovo Benno di Senigallia, complica la questione istituzionale in quanto vi include la “pieve” di S. Gervasio. Un altro documento del 1231 farebbe supporre l’intervento di chierici secolari soggetti all’ordinario diocesano, anche se la funzione plebana a S. Gervasio sembra sia stata piuttosto effimera: la pieve del territorio si trovava già sulla collina di Mondolfo negli anni 1290-92 (ples de Castro Marchi), mentre un titulus di Bonifacio VIII del 1298 accenna ad un beneficio sine cura di cui era titolare Filippo di Baligano di Jesi. Essa potrebbe comunque essere messa in relazione con l’acquasantiera in marmo bianco di S. Gervasio, qualora essa sia da interpretare come fonte battesimale ad aspersione. All’inizio del Quattrocento il vescovo senigalliese, secondo un’antica consuetudine, veniva a governare la chiesa nella seconda domenica di maggio (in tutte le domeniche di maggio si svolgevano a S. Gervasio delle fiere di bestiame).
E’ probabile, dunque, che a fronte di una sempre più accentuata decadenza dell’istituzione monastica nel tardo medioevo la chiesa sia stata affidata per l’officiatura al clero secolare. Nel 1395 una controversia, riguardante la gestione delle terre di S. Gervasio, oppose due chierici fanesi, Pandolfo di Simone Beccie (dei Martinozzi) e Andrea di ser Pellegrino Leonardi. Queste vicende non pregiudicarono comunque i diritti dell’abbazia di Sitria su S. Gervasio.  Ma dal 1453, con l’avvento degli abati commendatari, la chiesa rimase praticamente abbandonata e priva di custodia, entrando così nella fase più critica della sua esistenza. A tale situazione si cercò di ovviare permettendo a un laico eremita del luogo di dimorarvi nel 1536, mentre alla fine del secolo vi troviamo installati i monaci di S. Paolo Primo Eremita, un ordine nato e diffusosi soprattutto nei paesi dell’Est (ancor oggi presente nel santuario polacco di Czestochowa). Tali esperienze favorirono la formazione della leggenda del santo contadino locale, ma non poterono impedire poi l’abbandono e l’alterazione dell’impianto basilicale di S. Gervasio. Nel 1690 il consiglio comunale di Mondolfo denunciava al cardinal Barberini l’occupazione della chiesa con magazzini, cantine e stalle, mentre nel 1733 il podestà Torri vi trovava ancora un edificio “costrutto alla Gottica”.

Roberto Bernacchia
(tratto da Incontro, n. 3/2006)

Il Restauro di S.Gervasio di Bulgaria

In seguito all’evento sismico del settembre 1997, la Chiesa di S.Gervasio di Bulgaria a Mondolfo ha subito danni diffusi alle strutture murarie portanti. Da sopralluoghi congiunti fra tecnici del Comune di Mondolfo, Soprintendenza ai Beni Architettonici, Vigili del Fuoco e Regione Marche, è stata riscontrata la necessità di eseguire un intervento di restauro e miglioramento sismico che ponesse riparo ai danni del terremoto che venivano accertati dalla presenza di  numerose fratture e fessurazioni insistenti nelle murature portanti e che potesse aumentare  il grado di sicurezza dell’immobile dalle azioni sismiche. In seguito alla concessione di un finanziamento da parte della Regione di € 976.000, è risultata palese l’opportunità finanziaria epocale: le risorse potevano essere sufficienti per intervenire sulle parti strutturali non solo per diminuire la vulnerabilità delle strutture al rischio sismico ma, con una puntuale ricerca sui materiali e con uno studio approfondito sulle varie trasformazioni apportate nei secoli, per recuperare ed evidenziare gli elementi strutturali architettonici della Chiesa che la rendono “unica”.
L’evento sismico paradossalmente ha contribuito ad individuare le ipotesi progettuali culturalmente più interessanti, le lesioni e le fessurazioni createsi a causa del terremoto si sono manifestate in corrispondenza delle linee di divisione dei vari elementi, in alcune situazioni la mancanza di connessione tra i paramenti murari in mattoni eseguiti in epoche diverse ed in altre fra manufatti realizzati con materiali differenti (pietra e mattoni), hanno evidenziato in modo marcato le varie fasi evolutive e di trasformazione dell’impianto tardo romanico della Chiesa. Un esempio fra tutti, la linea di divisione fra le colonne in pietra della struttura originaria su cui erano impostati gli archi ed il tamponamento in muratura realizzato agli inizi del 1700 che delimita la navata centrale dalle navate laterali. Nel gennaio 2001 dopo aver svolto ricerche approfondite avvalendosi della collaborazione appassionata di studiosi locali, che della Chiesa di S.Gervasio sono degli autentici cultori, l’Arch. Remigio Bursi di Fano ha completato il progetto esecutivo dei lavori di restauro e miglioramento sismico della Chiesa di S. Gervasio nel rispetto dei parametri imposti dalla Legge 61/98, progetto condiviso dal Comune di Mondolfo proprietario dell’immobile è stato approvato in linea tecnica per essere sottoposto all’esame degli Enti preposti. In seguito alle prescrizioni imposte dalle conferenze di servizi appositamente indette dalla Regione, il progetto nella sua soluzione esecutiva veniva approvato definitivamente il 24.10.2002 dalla Giunta Comunale di Mondolfo che procedeva ad avviare l’appalto dei lavori, affidati alla Ditta I.C.A. s.r.l. di Avellino  con inizio il 04.7.2003 e conclusione ottobre 2005. Il restauro svolto ha consentito di attuare una serie di interventi di consolidamento delle strutture portanti mediante risarcitura delle lesioni verticali sulle murature tramite interventi di cuci e scuci, chiusura delle nicchie per quanto possibile in modo da ricostruirne la continuità dei corpi murari esistenti, consolidamento dei corpi murari con iniezioni di boiacca a base calce chimicamente compatibile con le caratteristiche delle malte esistenti. Relativamente alle finalità architettoniche l’intendimento è stato quello di mettere in risalto i singoli elementi caratteristici dell’impianto originale tardo-romanico unici e sicuramente preziosi, da rendere chiaramente leggibile all’osservatore ed al visitatore gli interventi effettuati successivamente nelle diverse fasi evolutive  tempo. Sono stati eliminati gli elementi privi di ogni valore architettonico. Da indagini e saggi effettuati durante i lavori di ristrutturazione della pavimentazione della navata centrale sono state scoperte tracce di manufatto riferibile alla fase più antica dell’edificio che con una estensione delle ricerche ha trovato riscontro anche al piano sottostante l’altare della navata centrale. Secondo quanto concordato con la Soprintendenza archeologica dopo aver proceduto alla ripulitura ed alla esatta individuazione dei singoli elementi murari sono state realizzati accorgimenti  per migliorarne la conservazione. Il posizionamento di lastre di vetro resistenti al calpestio oggi permettono ai visitatori di godere della vista di tutti i reperti ritrovati (il primo in corrispondenza della scalinata di accesso; il secondo al centro della navata centrale all’incirca a metà della chiesa; altri due, simmetrici rispetto all’asse longitudinale, in corrispondenza del primo sostegno agli archi; il quinto nella cripta, alla base della colonna che sostiene la volta). Ricostruita, in modo ben individuabile dal conteso, ma con materiali e le tecniche tipiche dell’epoca una parte del volume esterno dell’abside nella sua originaria dimensione. A conclusione dei lavori di restauro, la Soprintendenza ai Beni Archeologici ha finanziato e diretto una campagna di scavi archeologici svoltasi nel periodo nov. 2005-feb. 2006 finalizzata all’accertamento della presenza di elementi o reperti archeologici significativi nell’area immediatamente a ridosso alle murature perimetrali della Chiesa, i risultati della ricerca sono ancora in fase di valutazione e studio.

Gianfranco Centoscudi, Responsabile LL.PP. Comune di Mondolfo
(tratto da Incontro, n. 3/2006)